lunedì 25 settembre 2017


 
 
 
 
Capitolo IV

 

(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)

 

 

Arrivo da Napoli del conte Carafa, rafforzamento delle fortificazioni e potenziamento delle truppe di fanteria e cavalleria Sabbato gli 8 del medemo ottobre approdò in questo porto una tartana ben corredata da Napoli, conducendosi sopra essa l’Eccellentissimo signor Generale Carraffa, napolitano, nominato D. Claudio, per l’arme dell’Augustissimo Imperadore Carlo Sesto. Il quale, osservata tutta la città con ogni esatezza ed attenzione, e tutte le fortificazioni da dentro e fori, rassembrò agli officiali tudeschi con gli loro signori generali Carraffa e Vallais non esser sofficienti per defensione della città ed esser vuopo farsi molti ripari, li quali intrapresero a formare. Doppo tre o quattro giorni si condusse da nuovo colla detta tartana in Reggio nella Calabria, ove trattenutosi pochi giorni, retornò in questa città con le dette Galere di Napoli, conducendo seco molte e molte altre truppe tudesche di fanteria e cavalleria sopra una quantità di Tartane bene corredate e grosse, assieme con molte provisioni di guerra e di viveri, avendo pure venuto in questo porto molte barche picciole piene di comestibili da Calabria e da Napoli, scortate da dette Galere e Tartane.

 

Tartana austriaca carica di truppe e munizioni affondanta dagli Spagnoli Nel viaggio sudetto una di dette Tartane carica di truppe e di molte provisioni così di guerra, come di bocca, restò per fatalità sommersa sopra il Capo di Rajsi Colmo, per esserli state disparate molte cannonate d’alcune truppe Spagnuole. Le quali conducevano da Messina per terra in questa Piana quantità di cannoni per assediare questa città di Milazzo, ed una di dette cannonate diede nella monizione della polvere che si conservava dentro detta Tartana, perloché molte persone che si retrovavano sopra altre Tartane restarono pure uccise col fuoco della sudetta Tartana incendiata, ed altre gravemente ferite. Seguì tal infausto accidente a causa che la Tartana che patì il naufragio col fuoco, essendo ben munita di provisione di guerra con molti soldati, con l’altre Tartane pretesero essi soldati far il disbarco e prendere da puotere degli Spagnuoli il posto, e gli cannoni che conducevano per questa Piana, con impossessarsi da detto Capo, ove vi era un forte con molti cannoni. Ma ciò non li sortì, anzi molti soldati ed officiali (tolti gli uccisi dal fuoco) furono condotti in questa città, e per molto tempo penarono per recuperar la vita, bensì molti soccomberono colla morte.

 

Altra tartana, questa volta della cavalleria spagnola, incendiata per evitare che cadesse in mano nemica S’osservò dagli officiali tudeschi che nella ripa del mare che dà nella marina di Levante, nella spiaggia vicino la contrada nomata di Fundachello e lontana dal cannone di questa città, [si trovava, ndr] una Tartana qual era carica di paglia, venuta per servizio della cavalleria Spagnuola che resideva in questa Piana. Perloché s’ordinò da detti officiali tudeschi che si conducessero le due Galere di Napoli - quali erano nel porto - per farla preda, e così caldamente le dette Galere l’investirono a cannonate che facilmente l’avrebbero presa. Ma conoscendosi dalle persone che assistevano in detta spiaggia per li Spagnuoli che fra breve l’avrebbero condotto seco le dette Galere in questo porto, per non dar questo vanto alli Tudeschi diedero fuoco a detta Tartana, qual abbruggiò tutta colla paglia, dal vespero sin la mattina del giorno seguente, reducendosi in cenere. E così le Galere, visto l’incendio, se ne retornarono doppo disparate molte cannonate, col dispendio della polvere in quantità consumata [L’affondamento dell’imbarcazione carica di paglia è attestato dal bando degli amministratori comunali di S. Lucia del Mela trascritto in appendice al cap. 2, §11, ndr].
 
 

 
Carta di Melazzo apparsa nel volume Erste Eröffnung Des Spanisch-Italiänischen Kriegs-Theatrj worauff der befindlich (Leipzig 1718), come si evince nella stessa copertina del volume 

 

Ritorno del conte Carafa in città con numerose imbarcazioni cariche di truppe. Il conte, massima autorità militare austriaca a Milazzo, si stabilisce assieme alla famiglia nel palazzo in cui alloggiava il Missegla, per poi trasferirsi nel convento di S. Domenico. Assieme al Carafa giungono anche diversi commercianti napoletani e calabresi con mercanzie vendute in città prescindendo dall’ordinario regime tributario Giovedì li 13 del medemo ottobre retornò in questa città il riferito signor generale Carraffa col grosso dell’armata tudesca sopra molte e molte imbarcazioni, consistenti in truppe d’infanteria e cavalleria, con quantità di provisioni di guerra e vettovaglie per le medeme truppe, e foraggi per li cavalli. Come pure, scortate da detta armata, approdarono molt’altre imbarcazioni grosse e piccole cariche di viveri e commestibili, specialmente di pane, vino, farine, carni salate, legumi ed altri per conto proprio di napolitani e calabresi. Affinchè si lucrassero questi nella vendita di detta robba, giacchè vendevano come li piaceva, senza nemeno sodisfare gli soliti dritti e gabelle spettanti alla città, essendo così l’ordine espresso del signor Caraffa generale, il quale si retirò nel palazzo [del Governatore, ndr] ove soleva abitare il signor di Missegla comandante. Ma doppo, per timore delle bombe e cannonate dalli Spagnuoli disparate, albergò nel Convento di San Domenico con tutta la sua fameglia, qual era copiosa, trattenendosi gli altri nelle case convicine. Per aver condotto una fameglia alla grande da quel cavaliero era per certo che si tratteneva con molto fasto.

 

Ubicazione del campo austriaco E le truppe seco condotte, assieme con altre che si retrovavano in questa, armarono il campo fori le mura dalla parte di Ponente, vicino il convento de Padri Reformati di San Francisco d’Assisi sotto il titolo di San Papino; e sotto la chiesa di San Rocco che esiste in città, per insino le falde del Regio Castello, tanto la fanteria, come la cavalleria, oltre altre truppe di fanteria che furono accomodate dentro la città in più luoghi, specialmente nella Cittadella e Regio Castello.

 

Sopralluogo congiunto di Carafa, Wallis e Missegla alle fortificazioni della città. In particolare giungono sino a contrada Acquaviole, rischiando non poco per la presenza presso la Tonnara di Milazzo di un avamposto spagnolo S’unirono doppo tanto il signor generale Carraffa, qual tenea l’assoluto dominio di tutte sudette truppe d’ordine della Cesarea e Catolica Maestà dell’Augustissimo Imperadore, come il signore generale Vallais, unitamente col signor di Missegla comandante, qual governava nella città come sempre e sino che non s’avesse consegnato la Piazza d’ordine regio agli officiali tudeschi a nome della sudetta Maestà Cesarea e Catolica (come s’espresserà). E tutti, con ogni accuratezza e diligenza, osservarono tutte le fortezze d’essa città, assieme gli provecci di guerra e viveri per le truppe. Ed inoltre quelle fortificazioni fatte dal detto signor di Missegla comandante (in tempo che li Spagnuoli vennero nel regno) e nella Cittadella, e nel Regio Castello, e fori di essi. Come pure quelle fatte nel quartiero delli Spagnuoli e nelle principali Porte nominate di Messina e Palermo, e nelli Bastioni di San Gennaro e Sant’Elmo e fuori le porte sudette. E si publicò che necessitavano dell’altre maggiori, anzi la mattina seguente entrambi con molto corteggio e coraggio, sembrando spassiarsi per divertimento, uscirono dalla città a cavallo col seguito di pochi soldati a cavallo. E per la Porta di Messina, conducendosi per la marina dalla parte di Levante e Scilocco sino alla Tonnara nominata di Milazzo, e passeggiato sino alla contrada dell’Acquavioli sopra detta Tonnara, e lontano da detta Porta più di miglio uno, quando peraltro il campo Spagnuolo non era molto lontano ritrovandosi questo nella contrada del Barone, anzi persistendo più guardie nella contrada di San Giovanni lontana da detta Porta e Tonnara pochissimi passi, con dirsi che nel loco di detta Tonnara vi fosse la guardia spagnuola, che pure ad un tratto sparì, alla fine disinvolti e senza timor alcuno se ne retornarono in città.

 

Rincaro esorbitante del prezzo dei viveri venduti da calabresi e napoletani Continuamente e quasi ogni giorno, persistendo l’Assedio degli Spagnuoli, venivano da Tropea, Reggio ed altre parti di Calabria, come pure da Napoli, molte tartane e felughe cariche di truppe tudesche colla provisione di guerra e di bocca e comestibili, tanto di pane, farine, frutti freschi e secchi, legumi, formenti, carni salate, vini, animali bovini, crastri ed altri, scortate più delle volte dette imbarcazioni da due o tre Galere di Napoli. E benché si vendesse il tutto dalli calabresi e napolitani a prezzo disorbitante, nondimeno venne a refocillarsi tutto il publico, bensì col suo grave dispendio ed interesse. E gli cittadini appagandosi colla vista di tante e tante imbarcazioni nel porto cariche di truppe tudesche, e di cavalleria e di fanteria, e di viveri e comestibili, colla diversità di tanti Popoli, non perciò la loro borza non restò dissipata dell’intutto per la vendita degli viveri a prezzi rigorosi. Ed il peggio fu che, aumentandosi di giorno in giorno lo prezzo d’ogni comestibile, gli calabresi non solamente vendevano la loro robba a suo capriccio - senza nemeno licenza delli spettabili giurati di questa e loro officiali subalterni - pure concordato lo prezzo di essi comestibili cogli compratori, se gli dispensava il terzo meno colle loro bilancie a stadera, ed era necessario inoltre tolerare il tutto, perloché fu molto esorbitante il loro guadagno, procedendo sempre il latrocinio e furbarie delli sudetti venditori.

 

Presenza di navi militari britanniche. Operazioni militari dirette dal Carafa coll’assistenza del Wallis e del Missegla. Anche se il Wallis sembrava prevalere sul Carafa suo superiore gerarchico Allo spesso si facevano vedere in questo porto molte navi inglesi, che stavano per guardia della costa e del Faro di Messina. E di continuo scortavano quantità d’imbarcazioni piene di truppe tudesche con li loro officiali, che venivano da Reggio e Tropea quasi ogni giorno.

Benché l’assoluto dominio in questa città sopra le milizie l’avesse il signor Caraffa, generale, non di meno il signor generale Vallais disponeva a suo modo per quanto s’osservava, ma si credette il tutto adoprarsi con l’intelligenza del signor generale Carraffa, avendo entrambi due riguardo al servizio della Cesarea e Catolica Maestà dell’Imperadore. E con tutto ciò s’unirono tutti due col signor comandante Missegla, quale continuamente assisteva colli medemi generali. E di commune consenso si dispose che tanto gli soldati Tudeschi, come li Piemontesi e Savoiardi, alternassero tra di loro con entrare assieme giornalmente di guardia nelli posti della città e Castello Regio e dell’altri cogli loro officiali, versando tra loro ogni tranquillità ed amicizia, senza precedenza di loco, né di magiorasco, con tutto che gli Tudeschi - specialmente gli officiali - avessero sempre avuto la sovraintendenza e superiorità in tutte le cose militari. E s’affermò allora che le convenienze usate al signor di Missegla, comandante, li fossero dispensate per semplice onore, mentre gli Tudeschi vennero nel regno non per sussidio, ma per rendersi dell’intutto padroni (come in appresso seguì).

 

Opere militari: cavalli di frisia a Porta Messina Attendendosi con ogni accuratezza e sollecitudine possibile alla fortificazione di questa città, si fece una Palastrata di legname fuori della Porta di Messina, ben serrata per defensione della medema. E con molti legni arteficiati col nome di cavalli di frisia, che furono repostati in parte dentro detta porta e parte accommodati alla ripa del mare per diritto al muro che continua alla porta sudetta. E di più altro terrapieno dalla parte di dentro la medema porta da mettersi cannoni, quali infatti doppo si puosero. E susseguente si fece altro terrapieno di fori di detta porta per la parte di Ponente, con aversi pure dalla parte di dentro costrutto un bastione con fascine per mettersi cannoni, quali doppo furono accommodati battendo tutti alli Spagnuoli.

 

Nuove fortificazioni Inoltre si construsse di fori la porta di Palermo che dà al Ponente altro terrapieno con Palastrata di legname e fascine per guardia e custodia di detta porta. E di più continuossi, dalla porta sudetta per tutte le mura che terminavano alla torre maestra, ultimo confine del Quartiero nomato delli Spagnuoli, altro terrapieno dalla parte di dentro e di fuori, con aversi fatto sopra essa torre altro fortino con cannoni. Anzi fu fatta una linea che principiava da detta torre maestra per insino al convento de Padri Reformati dell’ordine di San Francesco d’Assisi, nominato di San Papino, con fossate, che si ritrova situato vicino la ripa del mare verso Ponente. Alle mura del quale convento, dalla parte che dà al Libeccio e Mezzogiorno, pure si fece un fortino da mettersi cannoni per offendere il campo spagnuolo, come infatti si posero doppo detti cannoni e da battere e volanti. E finalmente - trascorsi alcuni giorni doppo che seguì la battaglia generale tra le truppe Tudesche e di Savoia e Piemonte, d’una parte, e quelle delli Spagnuoli, dell’altra (come appresso s’esprimerà) - si fecero altri due bastioni di fascine. L’uno sopra detto Quartiero delli Spagnuoli, e di sotto la chiesa di San Rocco, vicino le mura della città; e l’altro nel giardino del Convento de’ Padri di San Francesco di Paola, pochi passi distanti l’uno dell’altro. Bensì, per aver il secondo luogo a colpire col cannone gli Spagnuoli, fu necessario dirupare alcune canne di muro del riferito quartiero. Con aversi posto a tutti due sudetti Bastioni gli cannoni di battere che tiravano verso Scilocco e Mezzogiorno nel campo Spagnuolo, riponendosi nel primo tre pezzi di cannoni e nel secondo altri quattro ben grossi e da battere.

 



 
L'intera cronaca dell'Assedio di Milazzo dal 30 settembre al 31 ottobre 1718 (fonte: Avisi italiani ordinari e straordinari dell’anno 1718, Vienna, appresso Gio. Van Ghelen)


Le fortificazioni militari assumono l’aspetto di un magnifico e intricato labirinto. Austro-piemontesi fortificano senza nessun ostacolo o disturbo da parte spagnola Di più si fecero altre fossate sino alla ripa del mare da parte di Ponente, principiando da detto convento di San Papino. E di più altro forte con molte trinciere colla comunicazione sino la porta di Palermo, nel Purracchito, in un luogo di Francesco Gionti, gentiluomo di questa, con molte linee sin al mare, ove pure furono posti cannoni volanti. Circondate tutte dette trinciere con fossate e terrapieni, colle sue ben regolate strade coperte, tanto che facilmente e senza pericolo alcuno tutte le truppe circondavano, non essendo in nessuna maniera scoperte dalli Spagnuoli. E per fabricarsi tutte queste trinciere molto si travagliò da copiosa quantità di soldati, specialmente di notte per non esser offesi dalli nemici Spagnuoli. E realmente si fabricarono con tanta maestria e colla disciplina militare, che osservate, finito l’assedio, recarono meraviglia non ordinaria per sembrare un laberinto dilettevole, che se entrava in esse chi non l’avea di continuo frequentate, difficilmente, inviluppandosi per li molti raggiri, ritrovava l’uscita. Anzi osservandosi dalli cittadini nel tempo istesso che si fecero dalla parte superiore della città, specialmente della contrada nominata di sopra il Monte, stupivano questi come travagliando in quelle tanti e tanti soldati, facendosi le sentinelle e notte e giorno, non apportassero nocumento alcuno gli Spagnuoli, quando per altro erano molto vicino colle trinciere delli medemi. Inoltre si fecero altri forti terrapieni, contrascarpe, linee ed altri ordigni militari dalle truppe Tudesche, unitamente di Piemonte e di Savoia, d’ordine delli loro signori generali e comandanti tanto in città, come fori di essa che per brevità si tralasciano.

Il che seguì per la reflessione si faceva dall’ingegnieri militari uniformi e prattici nell’esercizio di guerra, che sostenendo questa città contro gli Spagnuoli non avrebbero questi ottenuto il regno. E tutte le volte che succedesse il contrario, facilmente avrebbero superato il tutto, domentre possidendo il Porto capacissimo non solamente di continuo li poteva venire il soccorso necessario così di truppe come di viveri, e del regno e di fori pure, nemeno qualunque armata navale li poteva ostare essendo tutto scoperto e soggetto al cannone.

 

Sradicamento di alberi da frutto e colture orticole nel centro urbano e nelle immediate vicinanze: stravolgimento dei campi, tanto che al termine dell’Assedio i proprietari agricoli ebbero difficoltà a riconoscere i propri appezzamenti. Abbattimento delle mura del giardino del convento di S. Papino Nel tempo che si formavano le sudette trinciere dalla Torre maestra nel quartiero sino alla porta di Palermo e nel Purracchito (come si disse), per esservi tutto il terreno nella maggior parte alberato di celsi e d’altri alberi domestici, e quantità d’ortaggi con abbondanza di frutti e viveri fatti con acque correnti di molti pozzi, con li quali si sosteneva tutta la città, nominati le senie, dal principio s’ordinò che tutti sudetti alberi di celsi, ficare ed altri si tagliassero sin al piede per farsi campagna aperta, tanto che molti cittadini perderono tutto il loro capitale per il sostegno della vita. Bensì, considerando tal loro danno esser servizio del loro Re, s’appagarono in parte, ma doppo - continuandosi dette trinciere con le linee, contrascarpe, terrapieni ed altri - così dette senie d’ortaggi, come tutte le vigne, alberi, case ed altri che si retrovavano in detto circuito, come gli sudetti lochi delli detti sacerdoti di Foti e Caravello vicini la chiesa di San Giovanni, assieme col luogo grande del signor Don Marcello Cirino con li casamenti fori la porta di Messina, tutti si redussero in campagna rasa, con aversi svelto pure le radici di qualunque sorte d’alberi e li piedi di viti.

In tal segno che, levato l’assedio dalli Spagnuoli, non s’ha possuto riconoscere dalli padroni delli suoi luoghi ove erano li suoi, per aversi in alcune parti formato fossate e linee e terrapieni, in altre remasto terreno vacuo senza distinzione di sentieri, come prima esistevano, calpestrato dalla quantità, nonché di fanti, di cavalli, per tanto tempo avendo pure ciò seguito da detta Torre maestra sino sotto le falde del Regio Castello. Desolato pure il giardino delli sudetti Padri Reformati di San Francesco d’Assisi, con aversi tolto tutte le mura di buona fabrica.

 

Impegno degli ufficiali austriaci nella difesa della città In questo tempo il signor Generale Carraffa, comandante di tutte la truppe Tudesche, quale solamente avea l’esenzione di far la guardia con le sudette truppe, compresi bensì tutti gli altri signori Generali alternativamente per ogni giorno e la notte nelle trinciere sudette, e retiratosi nel convento de’ Padri di San Domenico, ove teneva corte bandita giornalmente, facendo suoi commensali più e più officiali, ed alla grande - come pure il signor Generale Vallais (qual si retirò nella Marina in casa del signor Don Mario Cirino) con altri officiali che si presero tutte quelle abitazioni che li piacquero, facendo slogare con ogni violenza gli padroni di esse, volendo inoltre il mobile retrovato in dette case per loro uso - [tutti i militari fin qui citati, ndr] con premura e vigilanza attendevano alla fortificazione della città, revedendo ogni notte tutti gli posti, con avere speciale riguardo che tutti gli altri officiali subalterni invigilassero all’esercizio militare così nella cittadella e Regio Castello, come nelle Porte d’essa città e trinciere fori di essa, per aver osservato che gli Spagnuoli alla guagliarda si presidiavano nella Piana, formando le loro trinciere, contrascarpe, ed altri. Ed il signor comandante Missegla, per non rendersi meno dell’altri, accudendo cogli sudetti signori Generali e stando sempre a cavallo, pure le notti intiere non trascurò nell’esercizio dovuto da buon soldato, facendo la riconoscenza in tutti gli posti, ordinando pure con ogni esemplarità con rendersi uniforme al servizio reale per oppugnare in tutto al nemico spagnuolo e non darli campo, ancorché minimo d’alcun avanzo. Il che osservato da tutti gli abitanti in città, si stava con quel timore, che si può considerare, ma non descrivere.

 

Descrizione dettagliata della brutale esecuzione riservata ai disertori austro-piemontesi Seguì nello stesso giorno, e per molti susseguenti, che molti soldati così Tudeschi, come di Piemonte e Savoiardi, desertarono con aversene fuggito nel campo spagnuolo, con tutto che alcuni di essi nella fuga fossero stati arrestati, contro de’ quali si procedeva con ogni rigore ad modum belli sin al morire, con aversi passato per l’arme in presenza di molte truppe della loro nazione squadronate fori la porta nel Purracchito o in altre parti. Il che era stimato da esse truppe, specialmente Tudesche, un morire con onore, ma ciò si faceva per causa che non tenevano manigoldo prattico per strangolare tali delinquenti. Ma questo non s’effettuò cogli desertori e trattenuti nel camino, poiché la loro morte seguiva con un modo molto atroce, facendosi la giustizia con strangolarsi gli delinquenti, per dirla schiettamente senz’umanità alcuna peggio di bruti. S’affissava un palo di legno nel terreno, alla punta superiore del quale era adoprato un chiodo di ferro ben grosso, e, mettendosi a’ piedi del medemo palo uno scanno, si legava una corda grossa al collo del condannato, con farlo salire sopra detto scanno. Attaccatasi detta corda al sudetto chiodo e toltosi al tempo designato il sudetto scanno, e stando il delinquente in aria, il carnefice lo prendeva per li capelli e tanto lo tirava a basso, sinché il poveraccio spirava. Perloché passava molto tempo sino che restasse dell’intutto morto. E benché assistesse dal principio sin al fine il cappellano del suo regimento, del quale era il delinquente, disponendolo al ben morire, non di meno questi condannati sono puniti con una morte molto orribile e peggio di bruti. E ciò sempre s’ha continuato per tutto il tempo dell’assedio, occorrendo l’occasione di  condannarsi alcun soldato alla morte che avesse desertato, e per sua fatalità trattenuto senz’aver conseguito il suo intento nella fuga tentata.

 

Al fine di ostacolare l’entrata del nemico spagnolo, il generale Carafa ordina la costruzione d’un grande fossato dal Quartiere - odierna via G. B. Impallomeni - sino alla chiesa di S. Papino. Viene ideato l’attacco agli Spagnoli Accresciute le truppe tudesche in questa città al numero di diece mila, anzi più, alloggiando parte in città e nella cittadella e Regio Castello cogli loro officiali, e parte nelli conventi deputati di San Domenico, San Francesco di Paola, del Carmine, di San Papino e Cappuccini, e la maggior quantità accampata fori della città e sotto il Quartiero degli Spagnuoli e nel Capo, specialmente le truppe di cavalleria nel Purracchito, avendosi fatto d’ordine del signor comandante principale tudesco un fossato ben largo per non puoter entrare gli Spagnuoli nella linea che tirava dal Quartiero sino al convento de Padri Reformati, e più sotto verso la marina (come si descrisse). E fortificati gli luoghi più riguardevoli per la parte inferiore della città vicino le mura nelle porte principali, si concluse tra essi signori comandanti, cogli altri generali che presidiavano la città, che in ogni modo si desse l’assalto generale alli Spagnuoli senz’alcuna notizia delli cittadini, per non penetrarsi con alcuna intelligenza dalli medemi Spagnuoli. Con tutto che per mezzo d’alcuni affezionati Tudeschi e Piemontesi e Savoiardi a molti cittadini s’avesse dato la speciale notizia di questo assalto, anzi molti officiali conoscendo l’imminente pericolo della loro vita, che facilmente poteva sortire nel conflitto, si refocillarono l’anime loro col cibo Eucaristico, raccomandandosi all’orazioni di molti devoti.

E vero bensì che con tutta la publicità versata tra molti confidenti in nessun modo si publicò nel campo Spagnuolo, il che si poté attribuire, nonché a portento, alla disposizione Divina, che se ciò realmente s’avesse penetrato tra gli Spagnuoli avrebbero soccumbuto l’arme tudesche e l’altre collegate, in grave loro pregiudizio e danno, colla vittoria totale a favore del nemico Spagnuolo.

 

Le truppe austro-piemontesi si preparano alla battaglia Venerdì li 14 ottobre 1718 radunaronsi sul Vespro tutte le truppe - così tudesche come di Piemonte e Savoiarde, e di fanteria e di cavalleria - nelli loro quartieri, assistendo con molta attenzione e vigilanza non solamente il signor Generale Carraffa, ma pure tutti gli altri signori generali, coronelli. Convocando ogni uno di questi gli suoi regimenti per ritrovarsi pronti a qualunque ordinazione degli  loro officiali. E ben tardi si conferirono tutti nelle trinciere fori le porte da essi fatte, ove s’osservarono l’arme d’ogni soldato. Ed essendo tutti bene provisti di palle e polveri, in generale si diede l’ordine che stessero allestiti  per qualunque evento militare, come pure s’approntarono le truppe di cavalleria che si retrovavano in questa. E finalmente dal signor comandante Missegla si posero in ordine tutte le truppe di Piemonte e di Savoia, tanto che la notte furono tutti nelle trinciere sudette, restando in città solamente per guardia di essa detto signor di Missegla con puochi suoi officiali nelli posti designati, specialmente nella cittadella e nel Castello Regio.

 

Imbarcazioni disposte nei lungomari per provocare lo scontro e simulare nel contempo lo sbarco di truppe Ed inoltre la medesima notte s’ordinò che da quaranta barchette in circa, battelli delle tartane che in quantità si retrovavano nel Porto, nell’alba demostrassero tutte unite d’incaminarsi per mare verso la marina della parte ove residevano gli Spagnuoli, servendo ciò per divertirli, con apparenza che detti battelli di tartane ed altre barchette fossero piene di truppe ed andassero per disbarcalle nella ripa, e far alcun tentativo contro il nemico Spagnuolo. Ad effetto che gli nemici si trattenessero in quel luogo per osservare l’operazioni di dette barche, e così si smembrassero dagli altri che si retrovavano nel luogo, ove dalle nostre truppe s’aveva designato dar l’assalto generale.

 

La Battaglia di Milazzo del 15 ottobre 1718 Sabbato li 15 del medemo ottobre, giorno della gloriosa Santa Teresa, principiando a comparir l’alba si diede dalle truppe Tudesche e di Savoia e di Piemonte l’assalto al nemico spagnuolo, uscendo dette truppe dalla Porta di Palermo. E benché non fossero stati consapevoli gli Spagnuoli, per aversi adoprato il tutto con ogni esatta segretezza, nondimeno non furono ritrovati sprovisti, anzi stavano con ogni prevenzione necessaria alla regola militare. Principiandosi la battaglia nel fossato di detti Spagnuoli fatto nella contrata di San Giovanni, ritrovandosi pure per aiuto di dette nostre truppe nel mare da dietro, un puoco distante dalla ripa, quattro galere di Napoli con una tartana corsara con cannoni da battere, per essere state previste per tal effetto dal signor Generale Carraffa la sera antecedente. E con tutto che alcune navi inglesi pure dovessero intervenire per sussidio, non si puotè ciò effettuare per causa di non aver seguito il vento per conferirsi in quel luogo deputato, restando immobili per la tranquillità del tempo da più miglia lontane nel mare. Dando dette galere con la tartana sudetta la battaglia col disparo di più cannoni al campo spagnuolo.

 

Il combattimento osservato dai milazzesi sulle alture, in particolare dalla cittadella fortificata Ed essendo quella mattina l’aere sereno senz’alcuna barca ed il mare molto tranquillo ed aggiatamente s’osservò questa battaglia da tutti quei cittadini che si ritrovavano in città dal principio sin al fine, con aversi posto dalla parte superiore di essa città tanto nella contrata di sopra il Monte, come dalla cittadella e dal Regio Castello, tanto per esser vicino il conflitto, come per non esservi alcun impedimento, puotendosi con ogni franchezza distinguere gli combattenti ad uno ad uno e di fanteria, e di cavalleria, nonché distintamente scuoprire.

 

Nuvoloni provocati dai fumi delle artiglierie offuscano la visuale del combattimento E processo il suono di più tamburri, pifari ed altri strumenti militari, si diede la prima discarica di focillate dalli Tudeschi e suoi fautori che seguirono parimente gli Spagnuoli. Al che s’osservò un chaos per causa del fumo, quale alle volte offuscava a questi ed alle volte a quelli, col danno repentino e dell’uni, e dell’altri: ed allora non si poteva distinguere dalla città il combattimento, sembrando tutto il circuito una nuvola in terra. Peronde se si appagava l’occhio de’ riguardanti colla veduta di tanti e tanti soldati ed a piedi, ed a cavallo, che con onore guagliardamente combattevano col disparo d’innumerabile quantità di schioppi, tenendo gli signori Generali ed altri officiali maggiori a cavallo le spade sfodrate in mano, invigorendo tutte le loro truppe al combattimento. Ed inoltre riguardandosi le dette galere e tartana che non cessavano il disparo di tutti li loro cannoni contro gli Spagnuoli; non perciò recava molto orrore e spavento agli medemi una battaglia così fiera e sanguinosa.

 

Iniziale vantaggio delle truppe austro-piemontesi E si vidde che continuando il fuoco allo spesso d’ambe le parti, clarificata l’aria col vento leggiero, le truppe tudesche colli compagni molto danneggiavano quelle dello spagnuolo, tanto che furono astrette le medeme partirsi ed allontanarsi dal luogo della battaglia, retrocedendo dalla ripa del mare per il danno del cannone delle galere e tartana e per non puoter più resistere alle continuate focillate contro esse dalla parte contraria disparate, colla morte di molte e molte di esse. E fuggendo senza alcun ordine militare verso il loro campo per scampare la vita, restando molte, nonché nella battaglia, nella fuga uccise. E molte ferite con quantità di cavalli.

 

Conquista del campo spagnolo da parte delle truppe austro-piemontesi E benché per la quantità del fumo non si discernesse chi dalle parti combattenti avesse ottenuto tal vittoria, pure apertamente s’osservò che le truppe imperiali e di Piemonte e di Savoja superarono le trinciere delli Spagnuoli nella contrata di San Giovanni, da dove ebbe principio la battaglia tra li due eserciti, con averli fatto retirare più sopra del loro campo. Onde quantità delle nostre truppe correndo vittoriosa sin al sudetto campo, incalzata dalli signori Generali e loro officiali che proseguissero la vittoria, fece bottino non solo di denari, argenti ed ori, ma pure di molti superlettili e bagaglio tutto delli Spagnuoli. E vi furono molti fanti de’ più infimi che rubbarono quantità di doble d’oro in detto campo, perloché sba[n]dato tutto l’esercito, attendendosi non più all’esercitio militare coll’obedienza de’ signori comandanti, ma al bottino.

 

Rimonta delle truppe spagnole Nell’istesso tempo sovragiunse a favore delli Spagnuoli, dall’intutto disfatti, un grosso nerbo di cavalleria, quale veniva per accidente da Messina, avendo partito la sera antecedente da quella città col signor Marchese di Lede, viceré per li Spagnuoli, ed altre truppe di cavalli, che si ritrovavano nel fegho di Cattafi da miglia tre distanti dal luogo ove seguì il combattimento. Tanto che gli Spagnuoli, prendendo ardire animosi, raccoltisi colla regola militare sotto la disciplina delli loro comandanti ed officiali, spalleggiati dalla truppe allora sovragiunte, voltarono faccia, incalzando l’esercito tudesco e suoi collegati, li quali - per esser disuniti, carichi di molta robba predata, e maggiormente che furono assaltati improvvisamente, senz’alcuna aspettazione di tal soccorso, per aver inoltre stato in opinione d’aver vinto dell’intutto - si sbigottirono, con esser molto incalzati dalli Spagnuoli col fuoco continuo.

 

Austro-piemontesi retrocedono verso le proprie postazioni, in «fuga da codardi» Perloché non puotendosi all’istante radunare coll’ordine militare, con tutto che da tutti li loro generali e comandanti fossero stati rimproverati, e molti feriti, principiarono a voltar faccia, retirandosi per questa città colla fuga da codardi. E la maggior parte confusamente retirossi verso la Marina sin alla ripa del mare su l’orlo di esso: e si disse che alcuni s’avessero sommerso cogli cavalli nel mare, stante esser tutto per molti miglia spiaggia, tanto che si ritrova la profondità inaccessibile pure nel lido. E per certo che molti migliara di soldati, non avendo ove più retirarsi, ritrovandosi co’ piedi nel mare, s’avrebbero reso al nemico spagnuolo, se per loro fortuna gli Spagnuoli non avessero avuto molta perdita delle loro truppe nel principio della battaglia, come pure non fossero stati timorosi d’essere gravemente danneggiati dalli cannoni delle galere e tartane, le quali non cessarono dal disparo dell’artiglierie, del che era molto offeso il campo spagnuolo e tutte le sue truppe. Che se ciò non s’avesse adoprato, per certo gli Spagnuoli avrebbero dell’intutto remasto vittoriosi colla rotta totale delle nostre truppe, anzi nella maggior parte trucidate e molte rendendosi prigioniere, non puotendo far altrimente.

 

La disfatta delle truppe austro-piemontesi non offusca comunque il valore degli alti graduati, che ben si distinsero il 15 ottobre 1718 Inoltre prevalsero assai (per non esser tutte le nostre truppe disperse) l’ardire e valore delli signori loro generali ed officiali, adoprando con mettere in repentaglio manifesto la vita, l’onore, per sempre dalli medemi esercitato. Poiché, conoscendo l’evidente loro pericolo, sin al fine s’adoprarono non solo da prudenti comandanti, con ogni militare e ben regolata disciplina, pure da soldati valorosi, hor convocando col dominio, hor chiamando alli conoscenti, hor forzando con equità ed hor promettendo con prudente umanità e finalmente con minaccia, fulminando e sgridando a molti codardi, ferendo colle spade che nelle mani di continuo tenevano. Che altrimente nessuno avrebbe restato colla vita. E siccome da principio apparì evidentemente che l’Esercito Imperiale, accompagnato dalli Savoiardi e Piemontesi, fosse stato vittorioso, nel fine non solamente perdette il conquistato, ma pure nella maggior parte disfatto.

 

Conseguenze della battaglia se gli austro-piemontesi non avessero pensato a depredare il campo spagnolo Si discorse doppo finito il combattimento che se - superate le linee e trinciere vicino San Giovanni e discacciato il campo spagnuolo colla fuga delle loro truppe - s’avesse dalli signori generali e comandanti fatto alto e residenza in detta contrata di San Giovanni, stando tutte le truppe colla disciplina militare e con l’ordine conveniente, e non attendendo al predare e non sbadandosi senza dubio, s’avrebbe pure preso il forte delli Spagnuoli nella Tonnara di Melazzo, pochi passi distante da dove seguì il conflitto, con tutti gli cannoni che si retrovavano in detto forte, con tutto che sin a questo giorno della battaglia non fossero posti nelle troniere - da più giorni fatte - li due cannoni che si retrovavano alla ripa del mare di Ponente, nel fine del campo; o almeno inchiodarli con superare colla vittoria il tutto. E così s’avrebbe dagli Spagnoli tolto l’assedio.

 

Bilancio della battaglia in termini di durata e vite umane. Prigionieri eccellenti La battaglia descritta ebbe il principio all’alba di detto giorno li 15 ottobre e senz’intervallo alcuno perdurò per lo spazio di ore cinque. Il fuoco mai cessò, si dispararono milioni di schioppi d’una parte e l’altra, oltre le cannonate delle sudette galere e tartana disparate contro gli Spagnuoli.

Si numerarono più di tremila morti delle truppe tudesche e di Piemonte e Savoja, oltre gli feriti che restarono prigionieri, e molti di essi condotti e retornati in città da se medesimi, con aversi serrato le porti principali della città sudetta.
 
Corriere Ordinario del 23 novembre 1718:
corrispondenza da Livorno del 4 novembre

Furono celebrati da valorosi ed intrepidi li signori generali e coronelli cogli altri officiali tudeschi, chi avendo fatto il loro offizio con ogni impegno e valentia, pure quei di Savoja e di Piemonte, che atteso la loro assistenza ed il buon governo militare, specialmente del signor Generale Carraffa e del Vallais non si perdette dell’intutto l’esercito. Restando bensì prigionieri il signor Generale Veterani e molti altri officiali riguardevoli, e delli piemontesi e savojardi il signor cavaliere Baioli [o Baroli?, ndr], maggiore del Regimento di Salluzzo; monsignore Andacotti [o Andreotti?, ndr], capitano di Granatieri del medemo regimento, e questo pure gravemente ferito nel petto d’una parte e l’altra; monsignor Valati, tenente del sudetto signor Generale Veterani, e molti altri officiali.

 

Le artiglierie delle galee - che non cessarono mai di sparare - determinanti per il salvataggio delle truppe austro-piemontesi Per certo che non avrebbe restato vivo alcuno delle nostre truppe se non vi fosse stato l’aiuto delle galere col disparo delli loro cannoni e la somma vigililanza ed intrepidezza delli signori generali ed officiali del nostro esercito. E pure se gli Spagnuoli volevano entrare all’ora finita la battaglia in questa città, l’avrebbero facilmente effettuato senza contrasto alcuno, poiché vennero le nostre truppe alla sfilata e senz’ordinanza militare né di fanteria, né di cavalleria.

E così puotevano gli Spagnuoli proseguire appresso dette truppe, sbigottite assieme con li cittadini, quali avendo osservato l’eccidio stavano molto perplessi e con grandissimo spavento, temendo che nella soppresa della città non li succedesse alcun danno così nella vita, come nella robba, con farli alcuna scorreria e darsi il sacco dalli Spagnuoli.

Si disse di più che nel campo spagnuolo avesse sortito il consimile eccidio nel principio della battaglia. Perloché si discorse che siccome il danno notabile seguì nel principiarsi la zuffa alli Spagnuoli, oltre tanto soffersero gli Tudeschi con l’altre nostre truppe nel fine, allorché si disunirono facendo il bottino e per essere stati incalzati pure dalle truppe spagnuole fresche e nel tempo stesso sovragiunte.

 

Gli Spagnoli armano il forte della Tonnara di Milazzo. Le imbarcazioni si trasferiscono di conseguenza dal Porto al Capo Finita la battaglia, sul tardi del medemo giorno s’osservò dalla città che scopertamente appareva che il forte della Tonnara di Milazzo s’armò con cannoni dalli Spagnuoli. Il che s’avesse fatto la mattina avrebbe sortito un danno molto più notabile a tutte quelle imbarcazioni che si retrovavano in questo Porto, per esser tutte suggette e discoperte dal cannone del detto forte, non numerandosi che pochi passi da detto Porto al forte menzionato. Perloché previsto tal danno notabile fu vuopo che nell’instante si retirassero alla confusa nel Capo di questa città, lungi dal cannone, e da quel giorno in poi non approdò più nel Porto qualunque imbarcazione ancorché piccolissima. Ed allora si riconoscette che detto Capo era sicurissimo ricovero a tutte le barche, ancorché navi ben grosse e galere. E mai e mai in avvenire con qualsivoglia vento, ancorché guagliardo e contrario, e pure con borrasche e col mare fluttuante, seguì alcun naufragio. Solo un giorno, ritrovandosi un Scilocco validissimo col mare in tempesta e l’aere molto offuscato, alcune tartane picciole, tra un numero copioso, e per non esser corredate con ancore, fecero alcun danno alla ripa (come si descriverà).

 

Il campo spagnolo impegnato nell’assedio di Siracusa si allontana verso Augusta. Seguono i festeggiamenti disposti dalle autorità austro-piemontesi Trascorsi alcuni giorni doppo la battaglia espressata, venne notizia in città che il campo spagnuolo che si retrovava nell’assedio della città di Siragosa - da più mesi - avesse slogato dalli suoi confini, con aversi retirato verso la città di Agosta e parti convicine. Il che da più scrittori si racconterà per averlo osservato da presenza o da vicino. Certificata tal relazione, si diede ordine dal signor Generale Carraffa che sul tardi la sera si disparassero tutte l’artegliarie che si retrovavano tanto nella cittadella e Regio Castello, come per tutta la città e fuori di essa, facendosi una salva reale col triplicato disparo di cannoni. Come pure fecero tutte le truppe tanto tudesche, come di Piemonte e Savoja. Realmente seguì con molto brio e giubilo la funzione, publicandosi che s’abbia fatto per segno di festino per l’assedio tolto dalli Spagnuoli nella città di Siragosa.

 

Gli Austriaci inalberano il proprio stendardo in sostituzione di quello dei Savoia, lasciando quasi intendere che erano venuti non già per coadiuvare le truppe piemontesi, quanto piuttosto per conquistare la Sicilia Ma la mattina seguente s’osservò aver comparso nel Castello Reale, affisso nell’asta deputata per mettersi - in giorni di festività maggiori e di festini per l’annualità delli Reggi Dominanti ed in altre funzioni di qualche conseguenza publiche - lo stendardo reale (che dal tempo che dominava il Re Vittorio Amedeo era con l’arme proprie), altro stendardo grandissimo più del consueto con l’arme imperiali dell’Augustissimo Carlo Sesto Imperadore. Il che recò meraviglioso stupore a tutti gli abitatori, colla reflessione che l’arme cesaree non erano venute nel Regno da ausiliarie, ma per quello rendere sotto il suo dominio.

Doppo due giorni si vidde una metamorfosi peraltro gioliva. Per aversi d’ordine del signor Missegla comandante (forse per non perdersi la giurisdizione nel Regno della Maestà di Vittorio Amedeo regnante) inalberato altra asta nella torre maestra in detto Regio Castello più superiore dell’altra, nella quale pure fece ponere lo stendardo consueto dell’arme del medemo Re Vittorio Amedeo. Il che, considerato dal signor Generale Carraffa, si fece inalberare in detta torre maestra altra asta per mettersi altro stendardo, bensì non fu poscia posto. Perloché affermarono che il festino fatto col disparo di cannoni e focili avesse seguito per mettersi detto stendardo imperiale.

 

I Milazzesi costretti - chi volontariamente, chi per esser stato costretto dalle truppe austriache - ad abbandonare le proprie abitazioni Benché questa povera città avesse sofferto molti e gravi danni ed interessi, e per la carestia scorsa, ed in appresso seguì colla compra d’ogni comestibile al triplicato anzi più dello prezzo, che pria si valutava, vendendolo gli Napolitani e Calabresi a suo talento, coll’ingannare con molta industria nel peso. Come per esser intercettata e proibita l’uscita nella Piana. Oltre gli gravi interessi sofferti, dovendo slocare gli megliori gentiluomini e cittadini dalle loro proprie case, e quasi tutti discacciati dalla cittadella ed alcuni retirati nella parte inferiore d’essa città, sotto il Quartiero delli Spagnuoli, colla presupposizione che l’assalto delli Spagnuoli dovesse in ogni modo seguire dalla parte del Capo e per evitare le cannonate e bombe, ritrovandosi vicino alla Cittadella. Ed altri discacciati per violenza dalle truppe tudesche e loro officiali, per impadronirsi questi con ogni arroganza delle migliori case delli poveri cittadini, tanto innanzi la battaglia seguita, come doppo, esercitandosi giornalmente l’istesso, poiché, piacendo a tal officiale la casa designata di qualunque gentiluomo o cittadino, di subito era necessario lasciarla, retirandosi gli padroni in alcun povero tugurio, che se si volessero distintamente raccontare l’insolenze e mal azzioni di dette truppe tudesche cogli loro officiali verso gli cittadini non si crederebbero per sormontar all’eccesso, volendo a viva forza che li superlettili delle case d’essi abitatori restassero in esse per loro servizio.

 

Aristocratici milazzesi coll’autorizzazione scritta del Wallis trasferiscono parte delle proprie famiglie (soprattutto le donne) al sicuro, tra Cattafi e S. Lucia del Mela Di più, penetrandosi che alcuni principali della città avessero superlettili e buoni arnesi nelle loro abitazioni, si appropriavano ogni cosa, anzi si richiedevano con ogni dominio, onde non puotendo gli abitatori differentemente procedere furono costretti mandarli a proprie sue spese all’alloggi di detti tudeschi, tutte le volte che non avessero commorato nelle dette case. Il che riconosciuto dalli sudetti abitanti - per non soggiacere ad alcuna violenza ed indiscretezza delli soldati e per evitarsi alcun inconveniente nelle loro donne, e finalmente per commorare con qualche quiete tanto innanzi di detta battaglia, come doppo quella seguita - si partirono dalla città col permesso bensì in scriptis dal signor Generale Vallais, avendo molto ottenuto tal licenza dal principio ed innanzi la zuffa generale. Tra gli altri principali, mercordì sotto li 5 ottobre del 1718 il signor Don Visconte Patti, Regio Secreto di questa, con la signora Donna Blanda, sua moglie, e tutta la fameglia, conducendosi tutti in un suo podere delicioso con casino posto nella Piana a contrata nominata il fegho di San Domenico, territorio del fegho di Cattafi. Li signori Don Costantino e Don Marcello Domenico D’Amico, padre e figlio, ottenuta pure la licenza inviarono le signore Donna Francesca e Donna Isabella, loro mogli (associate dal sacerdote Don Saverio e signor Don Giuseppe, figli e fratelli delli sudetti signori D’Amico, ed altre figlie del detto signor Don Costantino con tutta la fameglia), nella città di Santa Lucia, restando in città li medemi signori D’Amico con il signor Don Cesare, altro figlio e fratello. Quali tutti, consegnata la loro casa al signor Generale [segue lacuna nella copia, ndr], tudesco, per mera necessità sotto li 19 ottobre 1718 si retirarono nel convento de’ Padri Cappuccini in alcune cellette delli sudetti, ottenute con alcuna sommissione, non puotendosi adoprar altrimente per esservi in detto convento un regimento tudesco cogli loro officiali. Signor Don Francesco Lionti col permesso sudetto inviò in detta città di Santa Lucia molte sue signore figlie donzelle, associate dal sacerdote Don Antonio suo figlio, restando il sudetto in città colla signora Donna Anna sua moglie e molti e molti altri che per brevità non s’esprimono.

Tutte queste afflizioni, angoscie, rovine ed interessi, sofferte e patite da questa povera città e suoi abitatori per lo spazio di più mesi sino all’ottobre 1718 (che poscia di giorno in giorno s’aumentarono), non avrebbero recato tanto rammarico, dolore e sentimento agli medemi cittadini, se non avesse seguito il disfacimento delle loro case ed abitazioni, numerandosi più della metà di esse; ed allor sì che l’avrebbe commiserato colle lagrime il loro crucio e tormento, nonché un cuore umano, pure di fiera, poiché eccedettero al maggior segno, e non si possono raccontare per stimarsi incredibili gli pianti, lamenti e singulti quasi di tutti li cittadini, specialmente delle povere donne, per vedersi impensatamente dirupare le loro case, senz’aver luogo ove commorare e nemeno puotersi lamentare.

 

Onde, per aver forse compassione il lettore, è vuopo descriversi con distinzione tal flagello, per le proprie nostre colpe dalla giustizia divina scoccato. E gli nimici stessi, conoscendo aversi esercitato non per necessità, né ingente, né lieve, ma solamente per semplice capriccio, non avrebbero assecondato tal danno, ancorché ad essi l’avesse apportato speciale beneficio. Inoltre, se spesse volte s’ha osservato che dalli nemici s’hanno desolato cittadi intiere con l’eccidio universale di tutti gli abitatori, ciò ha derivato allorché da questi s’ha eccesso più del dovere in pregiudizio di quelli, tentando l’uni annichilare gl’altri con l’arme o con le frodi. Ma altrimente adoprossi in questa città, poiché dal principio e per sempre gli cittadini furono obedienti, soffrendo tranquillamente e con pazienza ogni sinistro evento solamente per essere veri vassalli del loro legittimo dominante. E di più, nemeno col pensiero volsero esser nemici, anzi si demostrarono assai parziali in tutto con tante truppe nella città venute, soggiungendo al volere delle dette e delli loro officiali senza contradizione alcuna.

 

 
Una corrispondenza da Napoli attesta, tra l'altro, allegamenti del campo spagnolo ai primi di novembre del 1718. «Il Campo degli Spagnuoli sotto la medesima Piazza si ritrovava tutto allagato dall'acqua, che da' vicini Monti à causa delle continue pioggie andava scorrendo». Ieri come oggi: il problema degli allagamenti nella Piana rappresenta una costante nella storia di Milazzo.
Nella corrispondenza si fa inoltre riferimento all'inalberamento nel Castello dello «Stendardo Cesareo».
 

Il Wallis ordina - a partire dal 5 novembre 1718 - di smontare i tetti delle case ubicate in Marina sotto il Quartiere per ricavarne legname da destinare alle opere fortificatorie Volendo il signor Generale Vallais, qual di continuo circondava la città per provisionarla con tutti quei ripari che si reputavano necessarij per non esser soppresa dal nemico spagnolo, avendosi il dispotico dal signor Generale Carraffa e, doppo la sua partenza impensatamente (come s’espresserà), dal signor Generale Zumjunghen, qual sovragiunse in loco del Caraffa designato. Primariamente sabbato che furono li 5 novembre del 1718 inviò, senza notizia delli poveri cittadini né scienza degli spettabili signori giurati o altro officiale della città, molta quantità di più e più soldati per discoprire le prime case  che esistevano nella Marina di sotto il Quartiero delli Spagnuoli, avendosi solamente riguardo alla raccolta delli ligni e tavole delli tetti e solari che si retrovavano in dette case, reducendosi in pezzi tutti li canali nelle strade. Quali legni si facevano condurre ad un luogo deputato sotto la porta inferiore di detto Quartiero ed altri luoghi, affinché con detta legname si facessero palaccioni per adoprarsi nelle palastrate da mettersi dentro e fuori la città. Senza aversi riguardo agli gravissimi danni ed interessi delli padroni di dette case, gettandosi in pezzi li canali di  esse per terra e demolendosi le mura, solo per recuperarsi alcuni pezzi di legni, ancorché fracidi e di nessun arteficio. Che doppo se li prendevano li soldati per venderli svelatamente nella città, stimandosi esser proveccio delle medemi per il loro travaglio.

 

Vessazioni delle truppe imperiali ai danni dei milazzesi cui venivano requisiti i tetti delle case Ed il maggior sentimento apportato alli cittadini fu che in molte case, pure di gentiluomini e povere donne che non si retrovavano in questa città, per aversi molti di essi retirato - così nel principio della guerra, come nel medemo tempo che si stavano demolendo le case - o nella Piana o in altre parti, stabilito il demolimento, li soldati, gettate violentemente le porti, da principio saccheggiavano tutto il mobile che si retrovava in dette case, gettando dalle fenestre cascie di noci, sedie, scrittorj, quadri e tutto quello che in esse di mobile grosso esisteva, predando per suo proprio conto quello che si puoteva nascondere e poscia demolivano gli tetti e solari; e fatta la raccolta delli legni e tavole di servizio, provecciandosi pure delli remanenti. Ed allora si vedevano li padroni di dette case - se pur si retrovavano -  andar per le strade per recuperar almeno parte del mobile, ancorché sdruscito e fracassato, pregando li convicini che li conservassero la porzione di robba, con molto stento pure comprata dalli medemi soldati che la predarono. Di più, il che dovrebbe recar meraviglia a chi l’intende per sembrar molto stravagante, che entrando li soldati in alcune case per diruparle, ritrovandosi li padroni in esse commoranti, nemmeno volevano che puotessero uscire il loro mobile. E se con sommissioni e preghiere ottenevano dalli detti soldati che si levasse da dette case, con lasciarlo in mezzo la strada per doppo refugiarlo in altra casa, non ritrovandosi nell’istante la commodità di trasportarlo, sovragiungevano altri soldati e con la violenza non mai pratticata si prendevano detto mobile, asserendo esser necessario per servizio reale. E li signori generali volendo dar alcuna soddisfazione agli loro - in qualche parte - confidenti di questa città, procedendo bensì sempre la superiorità del padrone al servo, asserivano che la demolizione sudetta era necessaria per farsi campo aperto vicino la porta di [San, ndr] Gennaro e Quartiero delli Spagnoli, quando peraltro si riconosceva evidentemente che il tutto processe per aver bisogno di legni acciò si facessero palaccioni. Giaché dalli Spagnoli s’avea fornito il suo forte con cannoni di battere nella Tonnara di Melazzo, colli quali giornalmente si batteva la città, e le palle offendevano la città tutta e perciò si stava con grandissimo timore e spavento. E benché s’avessero sfabricato molte case in detta Marina per li legni, proseguì in altre parti susseguentemente per tutta la città (come si descriverà). 

 

Ulteriori opere fortificatorie innalzate dalle truppe austro-piemontesi: forte dell’Albero e batteria eretta dal 10 novembre 1718 nel cortile del convento di S. Francesco di Paola (oggi Scuola Media Garibaldi) Domenica in questa città si stava con tante afflizioni. Dalli Spagnuoli si fecero oltre le trinciere ben composte nella contrata di San Giovanni sino alla Marina dalla parte di Ponente con le fossate, linee e contrascarpe ben regolate. Altro fortino con le sue troniere nella contrata dell’Albero dalla parte di Levante. Come pure giovedì, sotto li 10 del detto novembre, dalle nostre truppe si principiò un fortino con fascine, con sue troniere da mettersi cannoni dentro la città nel giardino del Convento di San Francesco di Paola. Ed infatti s’armarono quattro cannoni e fu necessario diruparsi un pezzo del muro del Quartiero nominato delli Spagnuoli per esser troppo alto, ad effetto che il cannone - essendo di batteria - puotesse liberamente offendere al nemico. E realmente molto servì, così per defensione della città, come in grave detrimento delli Spagnuoli, per giocare il cannone scoverto e ciò in avvenire si verificò per relazione di molti desertori dal campo nemico. Oltreché in ogni tiro s’osservava che non si disperdevano le palle, dando di continuo o nelle trinciere o nelli fortini delli Spagnuoli con molto loro danno.                                                                                                                                                                                          
 
Di seguito:
Timothy Harris, Melazzo and it's brave defence: a poem, W. Mears, London 1718, 
opuscolo custodito presso The British Library (digitalizzato da Google nel maggio 2017)